martedì 20 luglio 2010
Flashback – 14 luglio: finisce qui
lunedì 19 luglio 2010
15 luglio - ritorno a Issik
13 luglio - vitto e alloggio
Siamo stati alloggiati nelle situazioni più diverse: hotel tradizionali, appartamenti in affitto (ad Almaty), yurte e case singole, ospiti di famiglie. Di queste, solo le prime due hanno un comfort simile a quello europeo. Nelle tradizionali case kazake invece, all’interno non c’è l’acqua corrente e il bagno. Quest’ultimo è sostituito quasi ovunque dalla classica “buca”, attorno alla quale si appoggia una baracchetta in legno di un metro quadrato. Non è un dramma, ma richiede qualche dote di equilibrismo e contorsionismo che si sviluppa solo col tempo. La mancanza della doccia invece, soprattutto per noi ciclisti, è più grave; oggi ad esempio siamo al settimo giorno senza, e la cosa un po’ si sente, anche se il caldo molto secco aiuta.
Quando ho iniziato il viaggio ero reduce da otto mesi di lezioni di sala e ricevimento e avevo bisogno di recuperare un po’ di animalità, ma il rischio qui è di passare dall’altra parte e che la cosa piaccia. Il capello, ad esempio, cotonato dalla polvere della strada e ormai lungo, assomiglia sempre più, per fare un esempio, a quello di un Toto Cutugno; forse è per questo che il mantra “italiano-totocutugno” continua inarrestabile non appena ci vedono: città, villaggi, campagne, gente del popolo o benestanti, all’est o all’ovest del paese, il primo saluto è sempre quello. Probabilmente è iniziato un processo di identificazione, potrei dirgli che io sono Diego Cutugno, il fratello malriuscito di Toto, avrei un grande ascendente sulla popolazione.
Sul cibo le cose sono più semplici: ci sono 4 o 5 piatti che si trovano un po’ dappertutto e che sono più che accettabili: i pilmini, la risposta orientale al cappelletto e di cui si è già detto, gli shashlik, spiedini di carne di montone, il plof, che nonostante il nome è un piatto abbastanza riuscito di riso, peperoni e carne di manzo e il lagman, uno strano piatto di spaghetti fatti a mano con sopra carne e verdure saltate. La carne di pecora e montone è alla base di quasi tutti i piatti e al ritorno penso che dovremo fare una cura omeopatica a base di castrato per rientrare nella normalità. La carne di maiale non c’è, (so di darti un dolore, Remo), e questa è un’impronta della religiosità musulmana di queste parti, per quanto blanda.
Naturalmente la regina della tavola è la capra, e l’abilità con cui il commensale kazako ci lavora sopra è sbalorditiva: dopo avere addentato, succhiato, aspirato e rumoreggiato tutto il possibile, quello che resta del pezzo di carne con l’osso è appunto un osso, ma talmente levigato e perfetto da sembrare il semilavorato di un tornitore, o una scultura di arte moderna.
sabato 17 luglio 2010
11 luglio - Narinkol
Partenza da Kegen alla mattina di buon’ora perché questa sarà la tappa più lunga,
Poi la steppa cambia, le distese di erba più alta si alternano a strisce lunghissime di colore giallo, porpora, azzurro, c’è solo il rumore del vento e il gracchiare dei corvi, il traffico è quasi inesistente: è una delle strade più belle sulle quali abbiamo mai pedalato. Superato un piccolo passo, onde di colline che all’infinito diventano montagne, e che poi diventano ghiacciai. Sulla nostra destra riconosciamo la piramide del Khan Tengri, l’unico 7000 del Kazakistan e la ragione principale di questa deviazione che ci porta al paese di Narinkol. Qui la strada finisce e oltre c’è soltanto la Cina, separata da un confine esile di fil spinati.
A Narinkol ci aspetta la famiglia dei parenti di Carmine, uno degli incontri di Almaty, che li ha contattati per tempo per preannunciare il nostro arrivo,
E’ una casa povera quella che ci accoglie, ma come sempre succede, dimessa all’esterno, calda e accogliente all’interno. In famiglia c’è Beri, la moglie Alma e la piccola Zhanna. Hanno preparato per noi una tavola coloratissima: the, frutta secca, frutta fresca, formaggi, burro, salame, biscotti e dolcetti.
Naturalmente, la nostra immediata preoccupazione è verificare la presenza di teste di capra, ma dopo una rapida ispezione in cucina, scoperchiate un paio di pentole, ci sembra tutto tranquillo.
Lo spettacolo della serata è Beri, un traccagno scuro con un occhio di vetro, ma con una vitalità incredibile; a tavola ci invita a mangiare, “pajeti, pajeti!”, a bere, poi a rimangiare, quindi tira fuori la sorpresa: una bottiglia di “koniac” kazako che considera migliore di quello francese. Noi abbiamo qualche dubbio, ma Beri insiste: “Ciu, ciu!” (un poco, un poco). Poi esce di casa, fuma, sputacchia dappertutto, rientra, ci reinvita a mangiare, poi a bere, e ancora ciu ciu koniac. Ma non è finita, indossa il cappotto tradizionale kazako, tira fuori la sombra che finge di suonare, esce di nuovo, rifuma, risputa e rientra. E’ un carosello impazzito, ma divertente.
Il suo ultimo show è la preparazione della nostra stanza da letto; fa uscire come dal nulla tappeti e trapunte che fanno da materassi, li dispone sul pavimento insieme ad altre trapunte che fanno da lenzuola e coperte.
A fine serata Zhanna ci regala due vertebre d’agnello che ha colorato di rosso: sono due portafortuna.
giovedì 15 luglio 2010
10 luglio - la testa di capra
Lo sapevo che sarebbe successo. Ci hanno offerto la testa di capra, e l’abbiamo dovuta mangiare, Secondo le guide è l’incubo di ogni turista straniero che visiti il Kazakhstan; a volte si riesce a schivarla, ma a volte è impossibile perché è il loro piatto nazionale e tengono moltissimo a fartela assaggiare.
E’ andata così, siamo partiti di buon’ora dal canyon di Sharin, dove abbiamo alloggiato in una yurta lungo la strada (e meno male, perché è stata l’unica possibilità di alloggio in
Ma come è successo altre volte, la situazione si è ribaltata in un attimo, per strada ci siamo imbattuti in un gruppo di ragazzi che ci ha invitato a casa loro, ad una festa di famiglia, (la solita famiglia allargata di 20 persone) che si stava mettendo a tavola.
Siccome alle viste non c’era niente di pericoloso, anzi: the, formaggi, kumis, verdure, frutta e dolci, abbiamo accettato l’invito di buon grado, tra l’altro tutti i parenti dei ragazzi erano persone molto simpatiche. Insomma la cosa sembrava finita lì, tra chiacchierate, canti e suoni di sombra – lo strumento tradizionale - quando il capofamiglia ha annunciato l’arrivo del Bish-bermak: la testa di capra (notare, dopo i dolciumi).
Bish-bermak significa cinque dita, perché è un piatto che si deve mangiare con le mani. Per me e Piero, ospiti d’onore, ha tagliato le orecchie e ce le ha messe in piatto, passando il resto della testa agli altri e osservandoci orgoglioso. Io e Piero ci siamo guardati sgomenti per qualche lungo secondo, lui col suo orecchio destro e io col sinistro, ma poi ci siamo detti “beh proviamoci, forse non è così male”. Invece è stato anche peggio, la cosa più disgustosa che abbia mai assaggiato. Uno degli invitati, notando i miei sforzi di reprimere il vomito ha sorriso, ma ha fatto finta di niente, con grande signorilità.
9 luglio - la steppa
Già pochi chilometri dopo Shelik siamo al di fuori di ogni forma di civilizzazione: c’è solo la steppa e una strada dritta come una spada che la taglia in due. Persino i cavalli bradi e qualche raro cavaliere, che erano l’incontro tipico in scenari come questo, qui non ci sono più, come non ci sono case, punti di ristoro o un filo d’ombra per
E’ questo mare d’erba che l’Europa ha sempre visto come la più grande minaccia, la benzina che alimentava la cavalleria delle orde turco-mongole, sarmate, unne che distrussero Roma e Atene.
Millecinquecento anni prima degli europei questi popoli inventarono la guerra di corsa, fatta a cavallo, sfruttando questo contesto naturale e la loro leggendaria capacità di cavalcare. Alcuni studi hanno dimostrato che anche le armature dei nostri cavalieri medievali, le cotte, gli elmi, furono inventate qui, dagli antenati dei cavalieri kazaki e riprese solo più tardi dagli europei. Con Alessandro Magno la direzione si inverte e sono gli europei ad invadere l’Asia Centrale, ma il senso non cambia: la Grande Storia ha sempre attraversato queste steppe. Oggi le attraversiamo anche noi.
7 luglio - cani e ciclisti
Stamattina lasciamo Almaty, ma ieri sera, al concerto per Astana, ci sono stati altri incontri. Prima di tutto con Mila e suo marito, una coppia di biker appassionati che avrebbe dovuto ospitarci, ma proprio per via della festa era fuori città, così ci vediamo solo l’ultima sera. Poi, nel mezzo della festa-concerto incontriamo altri due ciclisti, che al confronto noi siamo scolaretti sul triciclo.
Un belga che è partito dalla Tunisia, per fare tutto il Nordafrica, il Medio Oriente, l’Asia Centrale e arrivare in Tailandia. E un americano di New York, in giro da otto mesi nei posti più incredibili, macchina fotografica e videocamera professionali e P.C., un free-lance che ha lavorato anche per il National Geographic. Ha una bici da corsa che non la prenderebbe un rottamaio, senza cambi (un mistero come faccia le salite), non ha tenda, dorme dove capita, fa 150/160 km al giorno. Un animale ciclistico come se ne vedono pochi. Gli chiediamo che carta stradale usa per il Kazakhstan e lui dalla tasca tira fuori un planisfero.
La strada che esce da Almaty verso est è trafficatissima, inquinata, rumorosa, ma soprattutto piena di cani randagi. Ce l’aveva detto il ciclista giapponese che questo tratto di strada era piena di cani impazziti che attaccano i ciclisti, ma noi ci siamo dimenticati di comprare Bishkek ”il bastone che tiene lontani i cani randagi”. Così ci difendiamo con un'altra tecnica. All’avvicinarsi del cane Piero urla a squarciagola “NIET!”, io, più provinciale, grido “Passa via!”. Se la cosa non funziona agitiamo le braccia continuando a urlare, con un effetto teatrale che deve essere notevole visto da fuori. Visto da dentro invece la cosa fa abbastanza paura. Oggi abbiamo subito almeno sei o sette attacchi, ma per fortuna senza danni.
A fine giornata ne vedo uno ai margini della strada, abbastanza grosso, pancia all’aria, travolto da un’auto. Allah il misericordioso ha fatto giustizia.
martedì 13 luglio 2010
6 luglio - Almaty 3
Diversamente dal Kyrgyzstan questo è un paese ricco. Nel centro di Almaty ci sono più SUV che a Milano San Babila, i locali pubblici sono paragonabili a quelli europei, non ci sono accattoni (o li hanno nascosti bene).
La popolazione della città è formata per il 30% da uomini e per il 70% da modelle, non donne, proprio modelle, ragazze tra i 18 e i 30 anni, flessuose, eleganti, bellissime. Quello che non si capisce è dove siano finite le altre, per esempio quelle anziane, quelle obese, quelle malriuscite. Probabilmente ci sono dei campi di lavoro dove tengono le quarantenni, le cinquantenni, ecc, oppure le gasano (il Kazakhstan è al secondo posto al mondo per riserve di gas, tra qualche anno saranno ricchi come gli arabi).
Fatto sta che camminare per la città è molto piacevole e poi ho letto su una rivista che il sogno delle ragazze di qui è sposare un occidentale. Insomma, se ho ancora una minima speranza di trovare moglie e fare contenta mia mamma questa è qui, ora. Naturalmente non andrei su quella fascia di età, vorrei evitare il ridicolo, no, mi basterebbe trovare il campo dove sono detenute le quarantenni e liberarle, e accompagnarmi ad una che sappia di Festival di Sanremo, di Italia degli anni ‘70. Come sarebbe bello passare le serate qui ad Almaty sulla Furmanova, a bere kumis, (latte di cavalla fermentato) e a parlare di Toto Cutugno e Albano, quante cose in comune avremmo! Se poi fosse una persona di cultura potremmo anche spaziare su Peppino di Capri e i Ricchi e Poveri, ma non oso sperare tanto. Con la fortuna che mi ritrovo, scopro il campo delle settantenni con problemi psichiatrici.
5 luglio - Almaty 2
4 luglio - Almaty 1
Almaty significa generatrice di mele, madre delle mele, o qualcosa del genere, perché è nella zona montana di Almaty che è stato identificata la zona in cui hanno avuto origine le mele, prima di diffondersi in tutto il pianeta. E la mela di Almaty, è il prodotto che identifica un pò tutto il paese.
Almaty era la capitale del Kazakhstan fino a una decina di anni fa, quando Nazarbajev, il presidentissimo, fece creare dal nulla e in mezzo al deserto, una nuova capitale: Astana. Replicando il modello di Brasilia ha chiamato grandi architetti per progettarla e fatto grandi sforzi per convincere la classe dirigente di Almaty a trasferirsi lì, ma c’è riuscito solo in parte: le temperature nel deserto di Astana sono insostenibili e molti hanno preferito restare qui, pur rinunciando a forti benefici economici.
Il giorno del nostro arrivo in città coincide, guarda caso, con una festa di tre giorni per celebrare il 12° compleanno di Astana, e ha il suo culmine in un mega concerto di musica pop e fuochi artificiali nel centro della città. E’ paradossale che queste celebrazioni vengano tenute nella città che è stata scippata del titolo di capitale, ma è anche un segno di quanto il presidente Nazarbajev tenga a questo progetto. Questo Nazarbajev è un personaggio controverso, ma estremamente popolare nel paese, è forte di un consenso del 90%, che è reale, non forzato o pilotato. Questo non gli impedisce comunque di essere insofferente a quel poco di dissenso che c’è: la censura di questo blog, in quanto parte del network di Google, ne è una prova.
Il primo italiano che incontriamo in città, Carmine, insegnante universitario che vive qui da vent’anni, ci dice “Io lo amo”, spiegandoci che i progressi economici del paese negli ultimi vent’anni e il fatto che in Kazakhstan convivano pacificamente 140 etnie e 20 religioni è un merito tutto del presidente.
Come città Almaty ha un’impronta decisamente sovietica, e quindi casermoni e impianto urbanistico a blocchi ortogonali, ma il fatto di essere completamente immersa in giardini e viali alberati la ingentilisce molto e la rende fresca anche dal punto di vista climatico.
E’ su uno di questi viali che incrociamo un gruppo di biker russi, che ci dà la dritta giusta per alloggiare qui: affittare un appartamento in centro direttamente dai proprietari, che li pubblicizzano per strada con delle targhette bianche. Questa pratica è abusiva, nel senso che i proprietari così evitano di pagare le tasse, ma funziona bene perche consente di affittare l’appartamento anche solo per un giorno e pagare un prezzo più basso di quello degli hotel, che sono carissimi. Così affittiamo per tre giorni un appartamento che più centrale non si può, a 50 metri dalla zona pedonale, e soprattutto in un palazzone di 18 piani in puro stile “cortina di ferro”, con vano scale e ascensori da incubo, ma molto comodo e piacevole da vivere. Una base perfetta per esplorare la città.
giovedì 8 luglio 2010
3 luglio - straniamento
Tappa senza storia quella di oggi, continuiamo a pedalare lungo la valle attraversata dalla steppa, avendo sempre al nostro fianco la catena innevata degli AlaTau. Un incontro interessante a metà giornata: un ciclista giapponese partito da Shangai che sta facendo la Via della Seta, per arrivare fino in Portogallo. Ha un bastone azzurro sul manubrio della bici e ci spiega che gli serve per difendersi dai cani, dice che ci sono molti “mad dogs” nella zona a est di Almaty, zona che noi attraverseremo tra qualche giorno. Buono a sapersi, compreremo ad Almaty un bastone e lo chiameremo Bishkek, “il bastone che serve a scacciare i cani randagi”.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché il Kazakhstan. Perché il Kazakhstan quando ci sono le Maldive, le Dolomiti, le Pinarelle a portata di mano?
In realtà il Kazakhstan è’ il luogo in cui essere, il migliore dei luoghi possibili. Che senso ha andare in un posto dove ci sono già mille altre cose, persone, casini, risto-pizzo-disco-bar, quando puoi fare le vacanze in un paese dove, al di fuori di due città importanti e qualche villaggio insignificante, NON C’E’ NIENTE. Ma dove le possibilità di riempire questo niente sono infinite, con incontri indimenticabili con le persone, per esempio. E poi non è nemmeno vero che non ci sia niente: c’è una steppa lunga 8.000 km e larga altrettanto. Per dirne solo una, le possibilità di parcheggio qui sono infinite e l’automobilista metropolitano stressato potrebbe piazzare la macchina ovunque, felice. E poi il senso delle vacanze è perdersi, straniarsi, immergersi in una cosa diversa.
Io ci sono riuscito benissimo. L’altro giorno, entrando nel ristorante di un villaggio ho visto un vecchio guèridon abbandonato, un cameriere che serviva alla francese, un’inserviente che pelava patate e ho pensato: eppure tutto questo mi ricorda qualcosa, forse delle persone? Un edificio? Macchè, niente, il vuoto …
2 luglio - in Kazakhstan
Prime pedalate da casa di Asia e in venti chilometri siamo alla frontiera col Kazakhstan. Il passaggio è meno complicato del previsto, le solite due chiacchiere con le guardie e il solito commento “italiani-mafia” che ci accompagna in ogni passaggio di frontiera fuori europa. Qui però è preceduto da un più originale “italiani-totocutugno”. Per la verità già ieri sera Asia ci aveva detto che l’unico personaggio italiano che conosceva era … (e qui abbiamo tremato): Toto Cutugno. Abbiamo cercato di approfondire e ci ha detto che lo ascoltano in italiano, senza traduzione, il che rende la cosa ancora più incomprensibile.
Il vero mistero della storia d’Italia non è la scomparsa di Majorana, ma la ricomparsa di Toto Cutugno, a 8.000 km di distanza. Comunque, tornando al problema frontiera, stamattina pensavo che alla prossima richiesta di nazionalità dichiarerò direttamente “italiano-mafia”, così ci risparmiamo tempo e battute scontate.
La pedalata è stata molto dura, caldo a 36°, niente ombra, solo steppe bruciate tutto intorno e strada in buona parte in salita con vento contro. Inizio difficile insomma, ma quando alla fine della tappa, al km 74, doveva esserci un hotel che invece non c’era, con il più vicino a 50 km, abbiamo cominciato veramente a preoccuparci, (soprattutto io che ero stremato). Al posto dell’hotel c’era un bar-ristoro e ai gestori abbiamo cominciato a chiedere ospitalità in tutti i modi: dormiamo sui tavoli, ci sdraiamo coi sacchi a pelo, in un corridoio: niente da fare, la donna manager è stata inflessibile. A quel punto però abbiamo realizzato dove eravamo: in un punto di ristoro e di approvvigionamento di acqua lungo la Via della Seta, che è la strada che stiamo facendo, mica la Meldola-Fratta Terme.
Così ci siamo seduti ad un tavolino, con l’idea che in un posto così qualcosa doveva per forza succedere. E infatti, dopo neanche mezz’ora Piero attacca bottone con due guardie private che escono da una camionetta. Hanno il compito di security su un tratto di strada, quella che stiamo percorrendo, dove si costruisce una nuova pipeline per il gas. Il loro tratto di pattugliamento finisce esattamente a 50 km da lì, dove si trova l’albergo più vicino. In un attimo caricano nel retro della jeep le bici e i bagagli e ci ritroviamo in hotel, con la prima doccia dopo 4 giorni, che festa!
Durante il trasferimento la chiacchierata coi poliziotti procede in modo stentato nonostante il russo ormai fluente di Piero, ma è subito chiaro che loro vogliono approfondire due argomenti: in che rapporti siamo con la mafia e Toto Cutugno.
mercoledì 7 luglio 2010
1 luglio - picnic a Koitash rock
La squadra di signore che ci porta in città è organizzata ed efficiente: shopping al bazar, al supermercato, poi al fast-food kirghiso, all’internet cafè (senza grandi risultati). Noi arranchiamo come anatroccoli timorosi di perdere il passo, ma tutto va benissimo e alla fine della mattinata abbiamo un quadro più chiaro della città. Bishkek è più interessante che bella, ma soprattutto è una città che sembra essere pacificata rispetto alla grave crisi che l’ha colpita nelle settimane scorse. Il referendum che ha riformato la costituzione si è svolto due giorni fa regolarmente e senza incidenti, e questa è la cosa più importante per far ripartire il paese.
Nel pomeriggio è Asia che ci porta fuori Bishkek in una escursione nella valle di Koitash, sui monti AlaTau. Saliamo nella macchina dei suoi amici, scassatissima, e nelle frequenti soste vicino al torrente, oltre ad ammirare il panorama rabbocchiamo il radiatore. Pascoli, cime innevate, yurte, cavalli bradi sono parte di un paesaggio quasi alpino. Sulla via del ritorno i gitanti kirghisi della domenica fanno il picnic, impossibile rifiutare un invito, che comprende anche l’assaggio del tè preparato con il samovar.
Domattina lasceremo Bishkek, che ritroveremo, se tutto va bene, solo il penultimo giorno di viaggio, il 26 luglio. Su questa città c’è una storia interessante raccontata da Tiziano Terzani nel suo bellissimo “Buonanotte signor Lenin”, uno dei libri guida di questo viaggio. Il vecchio nome della capitale era Frunze, datogli da Stalin ai tempi del soviet per ricordare un generale, Michail Frunze, che si era particolarmente distinto nella carriera militare e politica. Fu fatto eliminare da Stalin stesso quando la sua popolarità crebbe al punto da fargli ombra. L’eliminazione degli avversari politici da parte di Stalin era seguita poi dalla titolazione di vie o monumenti come “risarcimento” postumo, ma questo Frunze era così importante che si meritò una città. Nel 1991, nell’euforia seguita alla caduta dell’impero sovietico, il parlamento kirghiso, senza consultare la popolazione con referendum o altro, decise di chiamare la città Bishkek, che in turco antico significa “il bastone con cui si rimesta il latte di cavalla”, ma per alcuni anche “il bastone con cui la donna si consola in assenza del marito”, per cui le donne kirghise nei primi tempi pronunciavano il nuovo nome con imbarazzo.
A pensarci bene sarebbe come se da noi, dei leghisti arrabbiati con Roma ladrona decidessero di cambiarle il nome in “Vibratore”. Una cosa impensabile. Almeno credo, ma forse è meglio non dargli delle idee.
30 giugno - a Bishkek
29 giugno - partenza
La prima cosa da dire è che il viaggio doveva essere diverso: una pedalata tutta in Kyrghizstan, paese di grande interesse paesaggistico e umano e considerato senza rischi, almeno fino a febbraio, quando comprammo i biglietti aerei e nessuno poteva prevedere guerre civili o disastri umanitari, cosa che invece è successa tra aprile e giugno. Questo per dire che non era nostra intenzione pedalare in mezzo a crisi umanitarie, ma la compagnia aerea non ci ha cambiato i biglietti e allora abbiamo preso il visto per il Kazakhstan, paese confinante e imparentato strettamente con questo. Il piano quindi è diventato: sbarcare a Bishkek, capitale kirghisa, dopo una breve visita passare il confine e pedalarci il Kazakhstan, vedendo le principali città per dirigerci poi ad est verso il confine con la Cina. A quel punto vedremo come rientrare in Kyrghizstan per il ritorno.
Quest’anno con me c’è Piero, ciclista meldolese di fama internazionale, con cui ho condiviso un paio di viaggi importanti in passato.
Il viaggio aereo è andato bene, con un cambio di volo a Mosca, dove già si avverte un’aria diversa. Nella sala di attesa dell’aeroporto facce rubizze e occhi chiari di russi, zigomi larghi da mongoli, miscugli affascinanti di mille altre razze, forse un assaggio di quello che vedremo nelle prossime settimane. Nell’aria un misto di odori di aglio, di carne, di umanità, che si mescola ai profumi costosi dei duty free. E’ già oriente.
(Nota: il sito blogger.com è oscurato in Kazakhstan, per motivi di censura. I post di Diego vengono così caricati direttamente dal supporto tecnico italiano. Tutti i vostri commenti gli saranno comunque tempestivamente trasmessi!)