domenica 6 settembre 2009

Titoli di coda



Qualcuno ha scritto “quando la tua faccia comincia ad assomigliare alla foto del passaporto è ora che torni a casa” o, come si direbbe in Romagna, “è ora che ti riduci a casa” e la mia faccia qualche problema comincia ad averlo.
In realtà sono ancora in buona forma, certamente migliore di quella del primo mese, ma il proseguimento verso Miami e Key West comporterebbe 600 km di superstrade piatte e trafficate, in una zona di nessun interesse per me, e probabilmente con un clima poco simpatico. Diciamo qualcosa di simile al pedalare in piena estate per una settimana sulla A14. Non avrebbe senso, per cui finisce qui, dopo 3.370 chilometri, 59 giorni di viaggio, 46 in bicicletta. Ma finisce qui anche perché c’è un limite alla capacità di immagazzinare sensazioni, emozioni, volti, discorsi; dopo un certo tempo l’esigenza è quella di elaborare e raccontare più che continuare ad accumulare, e quel tempo è arrivato.
Quando il viaggio è iniziato avevo la grande curiosità di parlare con la gente per capire come è percepita qui la crisi, che futuro vedono e come sta cambiando il paese dove si decidono i destini di buona parte del mondo. Ho parlato con decine di persone, di tutte le condizioni sociali ed età e latitudine ed è stata un’esperienza unica, ma quando le domande sono così grandi non ci sono risposte univoche, e l’impressione generale è quella di un paese frammentato, forse anche confuso. Alcuni ritengono che quella che viviamo sia una fase passeggera e che l’America tornerà grande, molti pensano che niente sarà più come prima e ci si dovrà adattare ad un modello di vita più sobrio, altri sono semplicemente delusi.
Il fondamentalismo religioso protestante è molto forte e condiziona anche le scelte politiche, ma quello che è ancora più forte è l’individualismo e la convinzione che ognuno deve lottare prima di tutto da solo per superare le difficoltà. C’è un’avversione atavica per tutto ciò che è intervento pubblico, in particolare nell’economia, e non è una posizione solo dei conservatori. Ho sentito progressisti scandalizzati dal fatto che i grandi costruttori di auto sono stati salvati dallo stato, come le grandi banche: dovevano fallire, perché inefficienti, anche se questo poteva comportare la perdita di altri posti di lavoro. Qui non ci sono ammortizzatori sociali, gli impatti di un’economia che non funziona sono immediati nella busta paga di chi lavora, o nel fatto che la busta paga, da un giorno all’altro, si può perdere, anche nel settore pubblico. E quando questo succede si parte, si abbandona il posto in cui si vive e si va a cercare un’occasione migliore da qualche altra parte. In queste comportamenti, per noi ancora estremi, c’è tutta la vitalità e la capacità di reagire alle difficoltà di questa gente. Basterà?
Dal punto di vista personale il viaggio è stata una grande opportunità, è arrivato in un momento in cui il bisogno di riprendere entusiasmo era forte e l’America, in questo senso, è un ricostituente molto efficace.

E come si dice alla fine degli spettacoli o nella prefazione dei libri, tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto e la partecipazione di alcune persone.
Anzitutto Marco e Pierpaolo, che hanno aiutato in modo decisivo a preparare la parte “tecnologica” del viaggio.
Poi tutti quelli che hanno animato i commenti del blog, e che lo hanno reso divertente e vivo per tutto questo tempo.
Ancora, quelli che pur non intervenendo direttamente lo hanno fatto con i messaggi di posta elettronica, grazie.
Infine, le tante persone incontrate lungo la strada che mi hanno aiutato senza conoscermi: Joe Nowak, i Simon, Mike Parks, i Mathis, Robertone, Jonathan, Eleanor, Isabelle & Oscar e quei ciclisti, che non ho mai citato, che mi hanno offerto una doccia e un letto per dormire, non accettati solo per ragioni di distanza. Non sono molti i pedalatori americani della East Coast, ma hanno un cuore grande, un grazie anche a loro.

sabato 5 settembre 2009

4 settembre - Cinque cose





Cinque cose che ho detestato dell’America

Le spiagge private e inaccessibili della penisola di Delmarva, e l’idea che si possa privatizzare tutto.

La penisola di Delmarva, piatta, senza storia e attraversata da autostrade larghissime e inutili.

Il marketing religioso negli stati della “bible belt”.

La mancanza di cultura della bici e l’idea persistente che la strada, i negozi, le città sono fatte per le auto.

Il rispetto assoluto delle regole, anche quando vanno contro il buon senso.


Cinque cose che ho amato dell’America

Bagni pubblici e docce. Non è elegante iniziare da qui, ma perché non dire che in tutti i locali pubblici e nelle zone turistiche i bagni ci sono sempre e sono puliti, e che in sessanta giorni ho fatto sessanta docce dosate alla perfezione.

Il Beef Jerky, carne essiccata di manzo, in comode confezioni richiudibili, gustoso concentrato di proteine. Il più significativo contributo americano alla cucina internazionale, ne ho mangiato a quintali.

Il “refill”. In tutti i ristoranti, diners e chioschi da prima colazione il caffè o il the si paga una volta, ma la tazza viene sempre riempita a richiesta. Una bella consuetudine soprattutto d’estate, quando l’arsura preme.

I ferrovieri della linea New York-Maplewood, che all’arrivo in stazione ogni sera ti augurano la buona notte e ti fanno pensare che sulla Bologna-Ancona il servizio potrebbe essere migliorato.

La disponibilità della gente. Un uomo solo in bicicletta qui non è mai solo.

venerdì 4 settembre 2009

2, 3 settembre - Jacksonville, Florida




Dopo tutti gli avvertimenti sul caldo e l’afa di Georgia e Florida, non mi aspettavo proprio pioggia e temperature basse. Eppure sono tre giorni che non si vede il sole, il pomeriggio e la sera piove sempre e ieri mattina ho pedalato per cinque ore sotto l’acqua battente. Pur essendo su una superstrada, in alcune zone dove il drenaggio non ha funzionato l’acqua arrivava quasi al mozzo delle ruote e pedalare è stato come fare acquabike; a sera ho visto dai telegiornali locali che le inondazioni hanno colpito esattamente la zona che ho attraversato. Lungo la strada mi sono fermato al classico negozio di benzinaio per prendere un caffè caldo e riscaldarmi e ne ho approfittato per fare due chiacchiere col gestore, come ad un rifugio alpino.
Ho passato il confine con la Florida, è l’ultimo. Se ho contato bene, questo è il tredicesimo stato che attraverso: N.Y. State, Vermont, Massachusetts, Connecticut, New Jersey, Delaware, Maryland, Washington D.C.,Virginia, North Carolina, South Carolina, Georgia.
L’itinerario che ho coperto oggi invece è in gran parte sulla costa, in una zona di grande bellezza naturalistica: Fernandina Beach, Amelia Island, Talbot Island: qui la foresta, che ha un sottobosco acquitrinoso e fittissimo, si mescola alle dune di sabbia prima di arrivare al mare. La varietà di flora e fauna è ricchissima, è una zona di nidificazione di trampolieri e rapaci, ma l’animale simbolo è il lamantino, quella specie di tricheco senza zanne che pascola canali e fiumi delle zone paludose e che è a rischio di estinzione. Parchi nazionali e zone protette si susseguono per molti chilometri prima di vedere i segni di civilizzazione di Jacksonville. Per arrivarci, si prende un ferry e si attraversa il Saint Johns River, che la solita Lonely Planet, anzi l’ultimo brandello che mi è rimasto, definisce l’unico fiume al mondo insieme al Nilo che scorre da sud a nord.
A Jacksonville sono ospite per qualche giorno di Oscar e Isabelle, col figlio Gabriel, amici di Bob Mathis di Washington. E’ stato lui, il grande Bob, a contattarli e avvertirli del mio arrivo. Abitano molto fuori dalla città, ma sono a 200 metri dall’oceano, ad Atlantic Beach, e ora che mi avvicino al finale è un gran piacere ritrovare il mare, che avevo lasciato più di un mese fa in Maryland, e fare un pò di ozio balneare.

mercoledì 2 settembre 2009

1 settembre - La terza bottiglia di plastica





Grande incontro stamattina a colazione al motel, un altro ciclista che fa la East Coast come me, anche se da sud a nord, e non è un americano è un francese: Marc Delval.
Dire che sta facendo la costa est è un po’ riduttivo, in realtà sta facendo il giro del mondo, che prevede di completare nel 2015, ma lo fa a tappe di qualche mese, al termine delle quali rientra in Francia per ricaricare le batterie e preparare il successivo pezzo. Ora sta facendo la Key West – Boston, più o meno la distanza e il percorso che sto facendo io, ma questa primavera ha pedalato in tutte le isole dei Caraibi: Cuba, Santo Domingo, Bahamas, Jamaica, per 3.000 km. La tappa successiva, nel 2010 sarà l’Europa, della quale farà una sorta di circumnavigazione partendo dalla Scandinavia, da lì discesa a sud: Francia, Spagna, Italia, Grecia Turchia, e ritorno a nord attraverso l’est: Russia, Polonia e Paesi Baltici; per questa tappa prevede di stare via un anno. Sul portapacchi posteriore ha un bauletto rigido che contiene un raccoglitore con le foto e i percorsi che ha fatto in tutto il mondo, un po’ come il press-book degli attori, e poi un altro registro, tipo quello degli alberghi di lusso, dove le persone che lo incontrano scrivono due righe a ricordo.
Con me è generoso di cartine e di consigli sui posti in cui vale la pena fermarsi dopo Savannah.
Quando si incontrano sulla strada personaggi come questi, io ho sempre un paio di curiosità: una è cosa fanno nella vita, o cosa hanno fatto per poterselo permettere? Ma con Marc è impossibile approfondire l’argomento, parla solo francese, di inglese non sa una parola, e anche questo è un bel mistero: come si fa a girare il mondo così?
L’altra cosa che mi chiedo è che tipo di ciclista è, nel senso che il grande ciclista-viaggiatore confina pericolosamente con il ciclista-vagabondo/accattone. A volte non è facile distinguerli, nel senso che ci sono in giro per il mondo personaggi che non hanno una meta precisa, sono in viaggio da anni e semplicemente vivono così, e le loro ragioni non te le vengono a dire, anzi di solito sono poco avvicinabili. Ma ci sono anche ciclisti-tecnici come Marc, anch’essi in giro per lungo tempo, però secondo un piano preciso che prevede un ritorno prima o poi. Come distinguerli? La differenza è sottile, ma basta guardare alle bottiglie in plastica che si portano dietro: tre o quattro bottiglie, che contengono semplice acqua sono il segno che il punto di non ritorno è stato superato: quello è il ciclista-vagabondo. Il ciclista viaggiatore invece non ne ha più di due e dentro c’è gatorade o acqua con i sali. E le borse laterali sono di qualche marca tedesca molto costosa, traspiranti, impermeabili, inaffondabili, e spesso non funzionano. Il ciclista vagabondo invece ha borse in plastica da supermercato, in quantità, e quelle sono veramente impermeabili.
Io e Marc abbiamo due sole bottiglie in plastica, ma occhio, il confine è vicino.

martedì 1 settembre 2009

30, 31 agosto - Savannah






La colazione che prepara Eleanore la mattina della partenza è un pranzo di nozze. C’è di tutto, anche un piatto di polenta che qui si mangia con il formaggio e che, in piena estate e alle 7 della mattina fa uno strano effetto, ma è del tutto nelle consuetudini locali, si chiama cheese grits.
Mi prendo un paio di giorni per visitare Savannah, Georgia. E’ una delle più celebrate città d’America per la bellezza dei suoi palazzi e la sua storia e tutti mi hanno consigliato di farlo. La Lonely Planet la definisce una città sonnolenta e un po’ viziosa, "come una bella donna col viso sporco”, ma di grande fascino per la presenza di splendide case vittoriane, seminascoste dalle grandi querce sempreverdi americane. Questi alberi sono ricoperti da una “barba” di muschio pendente, la Tillandsia, che in realtà è una pianta con radici aeree, e che dà un aspetto vagamente gotico ai quartieri storici della città, un perfetto scenario per un film di Tim Burton.
Ed effettivamente Savannah ha avuto molto a che fare con il cinema; nel tour guidato che ho seguito oggi hanno citato almeno sei o sette film girati qui, tra cui “La signora in rosso”, ma quello che tutti ricordano è “Forrest Gump”, con la scena della scatola di cioccolatini sulla panchina della piazza. Ho fotografato la piazza in questione, Chippewa Square, che è una delle ventuno ancora esistenti in città e la famosa panchina. Ho anche pensato al fatto che a Washington avevo ripreso il Mall, teatro di un’altra scena famosa di questo film e che in fondo anche la traversata dell’America del podista Forrest Gump assomiglia un po’ al mio viaggio; ci sono delle strane analogie tra le due cose, ma per adesso non voglio approfondirle.
Detto questo, e riconosciuta la bellezza di Savannah, bisogna anche dire che l’America è un paese giovane e in continua trasformazione e per un americano l’impatto di una città come questa, con un centro storico di 150 anni pressoché integro, con i vecchi magazzini del cotone restaurati, i viali alberati e le piazze, è quasi sconvolgente, mentre un europeo, abituato da sempre a vivere in mezzo alla storia, potrebbe limitarsi a dire: beh, niente male questa Savannah.

sabato 29 agosto 2009

29 agosto- E' Sud


Sono diventato abbastanza bravo con le cartine stradali, ora riesco a capire dalla conformazione del terreno e altri segni che tipo di strada può essere quella da affrontare il giorno dopo. Ieri sera ho puntato sulla route 17, che lambisce una zona di foreste, seguendo il corso del Savannah ed in effetti stamattina vedo le tabelle della “scenic road”.
Ci sono cose che cambiano rispetto alla zona delle montagne, intanto il clima umido e la vegetazione. Si cominciano a vedere le magnolie, che sostituiscono querce e faggi, ma a dispetto della stagione tutto l’ambiente intorno è verdissimo. Oggi ho pedalato per decine di chilometri in mezzo a foreste di pini, e la cosa mi ha un po’ sorpreso, pensavo di trovare un sud arido e desolato e invece è tutt’altro. Cambiano anche le facce che si vedono intorno; a nord di New York era molto raro vedere gente di colore, qui i neri sono la grande maggioranza, e anche il modo di parlare un pò si modifica, la parlata è strascicata e lenta, ritmata in modo particolare, a volte difficile da capire.
Pedalando ascolto spesso le radio locali, e quasi tutte trasmettono musica country, oltre agli onnipresenti sermoni dei radio-predicatori evangelici, mentre i dibattiti politici sulla riforma sanitaria che erano prevalenti nel nord qui mi sembrano assenti.
Quella che non cambia è la disponibilità delle persone. Stamattina ho incrociato una coppia di ciclisti della domenica, Eleanore e Alfred, che dopo le due chiacchiere di rito mi chiedono dove ho intenzione di fermarmi per la notte; abitano nel paese dove sono diretto, Statesboro, e mi propongono doccia, cena e pernotto a casa loro. Accetto e ricordo che Jonathan, ad Asheville, mi aveva parlato della grande tradizione di ospitalità del Sud. Ora so che non scherzava.

venerdì 28 agosto 2009

28 agosto - Augusta National Golf Club




Non mi hanno fatto entrare. Ho provato a dirgli che ho fatto 2.900 km in bici solo per essere lì,
"Only members are allowed"
che so tutti i nomi dei vincitori degli ultimi 10 anni (non è vero),
"That's the way it is"
che è il sogno della mia vita entrare,
"Sorry, that's the way it is".
Non c’è stato niente da fare, that's the way it is, queste sono le regole. Forse dirgli della bicicletta è stato un errore; se gli raccontavo che avevo forato con la Bentley, forse….
Ma in fondo non sono scontento che sia andata così, anzi, il fatto che mi abbiano tenuto fuori rafforza l’idea di serietà che mi ero fatto di questo posto. Groucho Marx diceva: “Non potrei mai essere socio di un circolo che accettasse un tipo come me”.
Direi quasi che il rifiuto di farmi entrare è un motivo di consolazione per tutti quelli che credono in qualcosa, è la dimostrazione che esiste ancora qualcosa di sacro. In un mondo di politici ridicoli, di giudici corrotti, di mestieranti c’è ancora un luogo dove non ci sono eccezioni, strizzatine d’occhio e accordi sottobanco, ma solo regole e fair play. Avremmo preferito che questo luogo fosse la politica, o la giustizia, o la scuola, invece è un campo dove si prende a bastonate una palla. Per il momento ci accontentiamo.
Detto questo, siccome nella vita ci vuole anche un pò di equilibrio, prima di ripartire io gli ho lasciato una pisciatina sulla cancellata chiusa dell'Augusta National Golf Club, Georgia.

26, 27 agosto - Georgia on my mind




Quando ho programmato il viaggio, definendo quei cinque o sei luoghi-culto da non mancare lungo il percorso, quello più a sud era (ed è) il campo da golf di Augusta, Georgia. L’Augusta National non è un campo da golf come gli altri, è IL campo da golf; qui si gioca da decenni il Masters, il torneo dei campioni, il suo circolo è considerato il più esclusivo del mondo e il suo campo forse il più bello.
Del circolo fanno parte ex presidenti degli Stati Uniti, magnati dell’industria e della finanza tipo Bill Gates e Warren Buffet e alti papaveri di vario tipo. Il percorso si snoda lungo quello che 80 anni fa era un vivaio, con alberi, piante e fiori di grande bellezza che caratterizzano in modo unico ognuna delle 18 buche. Bob Mathis mi ha detto a Washington che persino i soci del circolo non sono ammessi al campo per molti mesi all’anno, per i lavori di manutenzione necessari per mantenerlo a questo livello.
L'esclusività di Augusta è proverbiale, assistere al Masters è praticamente impossibile, ci sono biglietti prenotati da anni, forse da generazioni e ci sono storie di separazione tra coniugi dove il giudice ha il problema di valutare a chi assegnare i biglietti. L’anno prossimo però qui giocherà un ragazzo italiano di 16 anni, Matteo Manassero, la grande speranza bianca, considerato un fenomeno non solo a livello nazionale, che è stato invitato perché ha vinto tutto quello che c’era da vincere al suo livello.
Con queste premesse, io non ho molte possibilità di mettere il naso dentro, ma voglio provarci lo stesso, o con la storia del pellegrino-ciclista arrivato lì per vedere il Tempio, o sperando in un sorvegliante di origini italiane che chiuda un occhio. L’importante è che non mollino i cani appena mi vedono all’orizzonte.
Intanto la piega verso il sud, in Georgia, si avverte in termini di temperature, decisamente più alte che sugli Appalachi. Ho passato la notte in uno State Park, bello, con piazzola vista lago, ma l'umidità anche a mezzanotte era insopportabile.
Per la prima volta ieri ho avuto qualche problema a trovare una linea WiFi, con la biblioteca pubblica chiusa e i locali del centro che non erano collegati. Ho fatto un tentativo in un posto che in Italia sarebbe l’ultimo in cui cercare: il benzinaio. Risultato: due postazioni perfettamente funzionanti. Qui tutti i benzinai hanno il negozio annesso che, oltre a vendere le solite spazzole, cartine stradali e detergenti vari è anche un negozio di alimentari e molto altro. Qualche settimana fa, in crisi di astinenza da latte cercavo una confezione da mezzo litro, perché nei supermercati ovviamente ci sono quelle da uno o mezzo gallone. Ma il benzinaio ce l’aveva, insieme al cappuccino ghiacciato e al pane, migliore di quello degli alimentari.
Perché funziona così? Forse anche qui la cultura dell’automobile gioca un ruolo importante o forse è l’ossessione degli americani per il non perdere tempo e fare tutto in fretta. Anche gli sportelli bancari qui sono tutti come i drive through di MacDonald, non si entra in banca ma si va con l’auto ad uno sportello apposito e si fanno tutte le operazioni senza scendere, collegati con l’impiegato all’interno se serve, se no si dialoga con la macchina. Chissà se sarà questo anche il nostro futuro.

mercoledì 26 agosto 2009

25 agosto - Gli Appalachi




Ho fatto una piccola estensione montagnosa per restare un’ultima giornata vicino agli Appalachi. Ho pedalato per 15 giorni sul loro crinale, sul fondo valle a sud e su quello a nord e, come ad Asheville, mi sono fermato nelle loro città: sono stati dei compagni di viaggio importanti. Credo ci sia una parola per definire questi monti: dolcezza.
Non è solo una questione di clima; prima di arrivare qui molti mi avevano messo in guardia sulla difficoltà dei saliscendi e l’impossibilità di farli con il mio carrello. In realtà le salite e discese che si susseguono sono molto graduali, ”rolling” dicono qui, e perdonano una condizione fisica non perfetta o un peso eccessivo da portare. Le cime stesse sono quasi arrotondate, non raggiungono mai altezze importanti e la visione delle vallate spazia per decine di chilometri e contrasta molto con quella dei nostri appennini che offrono valli strette e orizzonti limitati. Sono coperti da magnifici boschi, in buona parte di aceri e querce, ma anche di pini e faggi, oggi purtroppo minacciati da due nemici: un insetto originario dell’estremo oriente, che sta distruggendo diverse specie (castagni e olmi da qualche decennio sono spariti) e il riscaldamento globale. Ho letto da qualche parte che un innalzamento della temperatura media di 4 o 5 gradi comporterebbe la sparizione dell’intera foresta.
Ma gli Appalachi sono stati anche un generoso rifugio per alternativi, marginali e malati, e terra di letterati: Thomas Wolfe, considerato il padre spirituale della beat generation, è nato e vissuto ad Asheville, come qui è stata ospite ed è morta Zelda Scott Fitzgerald. E sugli Appalachi si snoda il sentiero più lungo e famoso per gli hikers di tutto il mondo, che a sua volta alimenta storie e leggende. Gli manca la drammaticità delle grandi montagne, ma non se ne sente il bisogno: è un mondo a sé, pacificato e gentile.

martedì 25 agosto 2009

24 agosto - Ritorno ai monti




Ho lasciato Asheville. Forse meritava un giorno in più, la visita al centro storico è stata molto frettolosa, ma è un discorso già fatto, la strada mette il prurito addosso e si riparte. Stamattina Jonathan mi ha preparato un caffè per colazione, (ho visto tazze che voi umani non potreste nemmeno immaginare…) e poi mi ha filmato all’alba mentre partivo, spero con una leggera dissolvenza a chiudere.
L’idea che avevo era di puntare decisamente a sud, ma ieri sera ho visto sulla cartina che facendo un giro un po’ più largo verso ovest si riesce a raggiungere una strada chiamata “Cherokee Foothill Scenic Highway”, e io mi dico: si può lasciar perdere una strada che inizia con Cherokee e che promette già dal nome di essere scenic? Così ho deciso per questa digressione e ho ripreso a pedalare in montagna, tanto tra non molto parchi e montagne saranno finiti, la Georgia si avvicina. Già domattina passerò il confine entrando in South Carolina, che è l’ultimo stato prima di Georgia e Florida.
Quindi oggi strada di montagna, che porta ad un campeggio, l’Ash Grove, gestito da Steven e Mark, una coppia di gay che non fa molto per nasconderlo, gentili e ottimi gestori. Potendo ormai scrivere una guida Michelin sui bagni pubblici posso dire che il loro camping ha i bagni più eleganti e curati che io abbia mai visto: cinque stelle.
Steven e Mark lavoravano ad Atlanta, lui architetto di interni e lui manager nel settore spedizioni, poi sei anni fa hanno mollato tutto, comprato questo pezzo di bosco e iniziato un’attività completamente nuova. All’inizio qualche difficoltà, ma ora sono molto contenti.
Sono l’unico campeggiatore con tenda e condivido il camping con una coppia che ha affittato una capanna in legno. Pensando che la stagione sia finita gli chiedo come mai sono ancora aperti. Mi dicono che in realtà l’alta stagione qui è in ottobre, quando i boschi cambiano colore e i benestanti che svernano in Florida, arrivano qui per vedere questo spettacolo, che loro mi dicono imperdibile, del bosco che assume tutte le tonalità del rosso. Tra l’altro, sempre le stesse persone si stanno accorgendo che il clima della Florida, pur caldo, è molto umido e pesante e c’è un ritorno a soggiornare qui per tutta l’estate, per il buon clima dovuto all’altitudine. La contea si chiama Transylvania, speriamo bene.

lunedì 24 agosto 2009

23 agosto - Asheville








Comincio a conoscerlo un po’ meglio Jonathan. Intanto stamattina abbiamo girato l’intervista, sempre al campeggio, perché questa è la sua base. Andrà in onda domenica prossima alle 17.00 sul canale UR.TV, che trasmette via cavo, ma ha anche lo streaming internet, per cui è possibile vederla sul sito http://www.urtv.org/, cercando il programma “Jonathan Journey”. Se qualcuno ce la fa, per favore la scarichi.
Jonathan è qui al campeggio per un accordo che ha con il proprietario, per il quale ha girato uno spot, così non paga per il soggiorno. Anche buona parte degli alimentari e altri servizi gli arrivano con questi cambi commerciali fatti con gli sponsor del programma. L’auto che guida è una vecchissima Ford, i due sedili dietro sono occupati da un computer, (non portatile), alimentatori, tastiere, biancheria sporca, lampade alogene, scarti di cibo, scontrini vecchi e la cinepresa, ed è la cosa più simile ad una discarica che io abbia mai visto. L’interno della sua tenda non me l’ha fatto vedere perché ha detto che era un pò in disordine. Alla fine però, anche senza fargli la domanda diretta, ho capito che quella macchina e quella tenda sono la sua casa.
Sfruttando questo sistema del cambio commerciale, abbiamo “comprato” da mangiare in un negozio equo e solidale (solidale soprattutto con noi) e abbiamo ottenuto con lo stesso sistema due biglietti per il tour della città con il bus e la guida (Jonathan intanto girava del materiale o fingeva molto bene di farlo). Mi ha spiegato che la tradizione “hippie” di questa città data dagli anni ’60, quando una legislazione molto più tollerante che in altre parti d’America attirò qui giovani coppie che volevano abortire. Allora tutta l’area era poco sviluppata, non costosa, aveva un buon clima dovuto all’altura (750 m.) e questo attirò in particolare i giovani e gli alternativi. Tutto sommato una storia simile a quella del Vermont, e non a caso c’è qualcosa di Burlington in questa città.
L’altra caratteristica di Asheville è che da 130 anni è il quartier generale dei Vanderbilt, una delle grandi famiglie d’America, i Gates degli anni ‘30. Il figlio del capostipite fece costruire qui ad Asheville quella che è considerata la casa privata più grande del mondo, la Biltmore House, 250 stanze, che dal cancello di entrata al palazzo richiede 25 minuti di pedalata di buon passo. Oggi pomeriggio sono andato a vederla ed è una vera meraviglia: una reggia europea, ma adattata alle modernità che agli inizi del secolo scorso già venivano avanti. E quindi: piscina, sala da bowling, palestra con attrezzi per il fitness, spogliatoi per gli ospiti, scuderia, cantina per produrre il vino, biblioteche, sala da musica, con arredi, quadri arazzi di grande gusto, prima che di grande valore.
Ho ripensato alla “casa” di Jonathan; è curioso scoprire nello stesso posto e nello stesso momento due situazioni così lontane tra di loro e così inconciliabili.