lunedì 19 luglio 2010

13 luglio - vitto e alloggio




Siamo stati alloggiati nelle situazioni più diverse: hotel tradizionali, appartamenti in affitto (ad Almaty), yurte e case singole, ospiti di famiglie. Di queste, solo le prime due hanno un comfort simile a quello europeo. Nelle tradizionali case kazake invece, all’interno non c’è l’acqua corrente e il bagno. Quest’ultimo è sostituito quasi ovunque dalla classica “buca”, attorno alla quale si appoggia una baracchetta in legno di un metro quadrato. Non è un dramma, ma richiede qualche dote di equilibrismo e contorsionismo che si sviluppa solo col tempo. La mancanza della doccia invece, soprattutto per noi ciclisti, è più grave; oggi ad esempio siamo al settimo giorno senza, e la cosa un po’ si sente, anche se il caldo molto secco aiuta.

Quando ho iniziato il viaggio ero reduce da otto mesi di lezioni di sala e ricevimento e avevo bisogno di recuperare un po’ di animalità, ma il rischio qui è di passare dall’altra parte e che la cosa piaccia. Il capello, ad esempio, cotonato dalla polvere della strada e ormai lungo, assomiglia sempre più, per fare un esempio, a quello di un Toto Cutugno; forse è per questo che il mantra “italiano-totocutugno” continua inarrestabile non appena ci vedono: città, villaggi, campagne, gente del popolo o benestanti, all’est o all’ovest del paese, il primo saluto è sempre quello. Probabilmente è iniziato un processo di identificazione, potrei dirgli che io sono Diego Cutugno, il fratello malriuscito di Toto, avrei un grande ascendente sulla popolazione.

Sul cibo le cose sono più semplici: ci sono 4 o 5 piatti che si trovano un po’ dappertutto e che sono più che accettabili: i pilmini, la risposta orientale al cappelletto e di cui si è già detto, gli shashlik, spiedini di carne di montone, il plof, che nonostante il nome è un piatto abbastanza riuscito di riso, peperoni e carne di manzo e il lagman, uno strano piatto di spaghetti fatti a mano con sopra carne e verdure saltate. La carne di pecora e montone è alla base di quasi tutti i piatti e al ritorno penso che dovremo fare una cura omeopatica a base di castrato per rientrare nella normalità. La carne di maiale non c’è, (so di darti un dolore, Remo), e questa è un’impronta della religiosità musulmana di queste parti, per quanto blanda.

Naturalmente la regina della tavola è la capra, e l’abilità con cui il commensale kazako ci lavora sopra è sbalorditiva: dopo avere addentato, succhiato, aspirato e rumoreggiato tutto il possibile, quello che resta del pezzo di carne con l’osso è appunto un osso, ma talmente levigato e perfetto da sembrare il semilavorato di un tornitore, o una scultura di arte moderna.

1 commento:

  1. Tieni duro Diego, l’evangelizzazione culinaria, a cui ti sei preparato per questo e per i futuri viaggi, non si appiccica alle persone come si fa con le figurine sull’album, ma passa attraverso difficili e indigesti confronti, assaggi, degustazioni, e scambi reciproci di ricette tradizionali.
    Il predicatore deve necessariamente conoscere e, almeno in apparenza, apprezzare le tradizioni gastronomiche delle genti autoctone per meglio far breccia nei loro piatti tipici.
    Anche il successo di Toto Cutugno è probabilmente passato attraverso intere capre spolpate in cambio di musicassette, ma una volta avviato il meccanismo, la crescita è divenuta esponenziale ed anche le tradizioni più lontane sono state scalzate.
    Evviva Diego Cutugno !
    fabrizio

    RispondiElimina