mercoledì 12 agosto 2009

10 agosto - Gli ozii di Washington




Come siamo deboli...
Dovevo fermarmi due o tre giorni a Washington, ma poi Bob ha insistito perché mi fermassi di più ed in effetti questa città è sorprendente per la varietà di cose che offre, e loro sono veramente una famiglia ospitale.
Continuo a passare gran parte della giornata al Mall, perché questo è il più straordinario concentrato di musei che io abbia mai visto. Devo dire poi che il termine museo è molto improprio, perché qui i musei sono dei contenitori, spesso divertenti, che consentono di usare, provare, sperimentare e imparare qualcosa. E hanno normalmente al piano terra dei magnifici ristoranti e belle librerie frequentate anche da gente che con la visita al museo non ha niente a che fare.
Per esempio stamattina sono andato, poco convinto, al museo dello spazio e dell’aviazione. Ma qui ho trovato: il primo aereo dei fratelli Wright, che tra l’altro ho scoperto essere dei costruttori di biciclette e che usarono questa conoscenza per realizzare i primi aerei, la navicella dell’Apollo 11 che arrivò per prima sulla luna, lo Spirit of S. Louis, della prima trasvolata dell’oceano. Insieme a questi ci sono mille altri aerei, razzi, navicelle, sempre nella versione originale. Ma se uno è stanco di tutto questo attraversa il Mall e può vedersi il museo dei nativi americani e soprattutto il suo magnifico ristorante dove servono solo piatti della tradizione americana: del nord, centro e sud: dal caffè della Colombia alle patate peruviane ai piatti di mais messicano, ecc. Riattraversando la strada, se si vuole riposare, si può andare alla National Gallery, sprofondare in una poltrona e guardarsi, ad per esempio, i Monet e i Van Gogh di una delle più belle collezioni di impressionisti che esista. Se si hanno esigenze fisiologiche i bagni di questi posti sono all’altezza delle sale e delle cose che sono esposte. I prezzi? Tutti i musei sono gratuiti. Me ne sono lasciati tre o quattro per una prossima visita.
A sera rientro a casa Mathis abbastanza presto perché siamo invitati ad una cena a casa di altre due famiglie di ebrei. Una delle famiglie è appena tornata dalla Spagna, l’altra ha come capofamiglia un CPA, che è l’equivalente americano del mio mestiere, così ho l’opportunità di scambiare qualche idea su come funziona il mio lavoro qui.
Non voglio fare generalizzazioni sugli ebrei, ma mi sembra che ci sia qualche caratteristica comune nel comportamento e negli interessi di questa gente, e li cito anche se alcuni corrispondono a dei luoghi comuni. Per esempio, sono molto attenti all’educazione dei figli, alla scuola che sceglieranno e alla scelte future, la famiglia non è mai disgregata, ma tende a stare insieme non solo nelle circostanze tradizionali (Bob mi dice: mia mamma è come una mamma greca o italiana, non mi lascia mai un momento). Parlano spesso di soldi e sono molto attenti ad osservare le evoluzioni dell’economia.
Detto questo, io ho apprezzato molto di loro questo senso di appartenenza ad una comunità e anche l’attaccamento che hanno al posto in cui vivono, sono cose poco americane, e mi hanno ricordato alcuni aspetti belli del vivere nel mio paese.

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